Direttore d’orchestra Mario Menicagli
Direttore coro Alistair Sorley
Direttore musicale Mirko Caruso
Regista Andrea Hlinková
Ospite d’onore: Guia Farinelli Mascagni, nipote del M° Pietro Mascagni, che introduce le serate
Cast Cavalleria Rusticana
Santuzza Michaela Šebestová
Turiddu Alberto Profeta
Alfio Luca Simonetti
Mamma Lucia Eleonora Coste
Lola Maria Mellace, Claudia Cuomo
Cast 12 anni dopo
Santuzza Noemi Amico
Alfio Luca Simonetti
Lola Claudia Cuomo, Maria Mellace
Zu Brasi Victor Garcia Sierra
Pietro Murat Guvem
Mamma Lucia Eleonora Coste
Turiduzzu Quin XI
Lola Claudia Cuomo, Maria Mellace
Filomena Claudia Cuomo, Maria Mellace
Sinossi:
Cavalleria Rusticana
Quest’opera è un capolavoro. Non ci dovremmo mai stancare di sostenerlo. Lo è per una serie infinita di motivi e poco regge la tesi di chi afferma che probabilmente non sia stata seguita da una produzione che abbia mantenuto il livello del debutto del ventisettenne livornese. Certo, perché non dobbiamo trascurare quest’aspetto: all’età di ventisette anni (quelli di Mascagni alla data della ‘prima’) Verdi aveva messo in scena “Oberto” e “Un giorno di Regno”, Bellini “Il Pirata”, Donizetti “Le Nozze in villa” e altre opere cadute nel dimenticatoio, Puccini “LeVilli”. Opere senza dubbio non consacrate al ruolo di capolavori, a dimostrazione del fatto che, senza scomodare Mozart, al pari di Rossini, potremmo parlare tranquillamente di Mascagni come un enfant prodige dell’opera. Alla mia nona produzione di questo titolo, dopo averla eseguita per almeno altrettante da violino di spalla, tra cui una con il maestro De Bernart nel ‘97, (non purtroppo quella del 2004 per l’inaugurazione del Teatro Goldoni, suo autentico testamento musicale), sono sempre più convinto che “Cavalleria” non si conosca mai abbastanza. Non vorrei dire qualcosa di scontato, ma quest’opera ha davvero qualcosa in più, qualcosa di nascosto che emerge quando meno te lo aspetti, qualcosa che inevitabilmente ti fa dire ‘non me ne ero accorto prima’.
Cavalleria è un tesoro inestimabile di emozioni, stati d’animo, racchiusi in un vortice che dura un’ora abbondante e che non lascia spazio a rilassamento o cali di tensione. Dirigerla durante le letture con la sola orchestra, ti regala il privilegio di poterne assaporare solo l’essenza musicale, indipendentemente dall’azione scenica con un risultato sorprendente. Forse, se si eccettua la Siciliana, niente di tutto ciò che è scritto funge da mero accompagnamento del canto, della parola. Oserei dire che si tratta di un anticipo sperimentale di quella che sarà una delle più grandi novità introdotte da Mascagni, la colonna sonora da film con quel Rapsodia Satanica, che è stata musa ispiratrice persino di grandi compositori del genere come Ennio Morricone.
Non è infatti forse già festa, ancor prima di saperne i contenuti testuali, l’entrata delle campane e quella trionfale dell’orchestra nel tre quarti che segue preludio e siciliana? Non è già fretta e ansia l’incipit degli archi che introduce l’arrivo di Turiddu e il suo incontro inaspettato con Santuzza? E la stessa cadenza sospesa non rappresenta forse la sorpresa di averla trovata sulla sua strada? E il primo improvviso ingresso degli ottoni nel finale che segue l’ostinato dei bassi non è forse il colpo fatale dell’arma inflitto da Alfio? E il secondo non è già l’annuncio della tragedia avvenuta ancor prima del grido disperato della popolana? E la tessitura acuta dei violini nell’Addio alla Madre non è forse il presagio del viaggio finale del protagonista, alla stregua di ciò che Verdi aveva già pensato per Violetta e Gilda? Non c’è nota, battuta, momento dell’opera che non lasci adito a dubbi interpretativi e a soluzioni da mettere sempre in gioco, da rivedere e da correggere magari nel tempo.
Tutte letture personali, tutte interpretazioni, senz’altro. Nessuno avrà mai la bacchetta, parlo di quella magica, della verità; forse non l’ha avuta neanche Mascagni stesso che, da Direttore, ha pur lasciato ai posteri la ‘Sua’ Cavalleria. Ma non sempre ciò che diciamo e scriviamo rappresenta realmente la nostra volontà di espressione e, compito del direttore, è anche quello di ricavare dalla partitura le reali intenzioni del compositore, sconosciute magari a lui stesso. Un po’ come dallo psicanalista, uno racconta ciò che fa, ciò che pensa e l’altro emette la sentenza del reale significato delle tue azioni e dei tuoi pensieri. Lungi da me l’idea di mettere su un lettino da psicanalisi Mascagni, ma una cosa vorrei ribadirla: Cavalleria non si impara mai… e togliere da quest’opera influenze della memoria o condizionamenti della tradizione per un direttore è impresa molto faticosa.
Per questo quando un cantante o un professore di orchestra cerca di rassicurarmi dicendo: “Cavalleria? Bene, l’ho già fatta un sacco di volte!”, sono più preoccupato del solito…
12 Anni dopo
L’opera “Dodici anni dopo”, si ispira all’omonimo dramma popolare di Giovanni Grasso, uno dei più grandi attori tragici del novecento, protagonista di note pellicole di film muti molte delle quali andate distrutte o disperse. L’opera è stata composta nel 2018.
Due anni fa è nata l’idea di produrne un film-opera, che è stato prodotto da Opera Laboratori, Sillabe e Modigliani Produzioni, con la produzione esecutiva di Ema Vinci Nareei.
L’idea della stesura dell’opera mi è stata suggerita da Franco Zappalà, attore e regista siciliano, che mi mise a conoscenza dell’esistenza di un testo, in dialetto, rappresentato più volte in tutto il mondo, che narrava le vicende susseguenti a Cavalleria Rusticana. Il testo, dopo una accurata e non semplice traduzione è stato tramutato in libretto con la collaborazione di Lido Pacciardi e quindi in musica con un entusiasmo incredibile, non trascurando il fatto che di “sequel” si trattava e alcuni riferimenti al capolavoro di Mascagni non potevano essere certo trascurati.
Così, all’interno di una storia di dolore, passione e perdono, si riconoscono i riferimenti alle pagine che hanno fatto di Cavalleria un monumento immortale nella storia del melodramma. “Intermezzo”, “Preghiera”, “Stornello di Lola” sono, anche per Dodici Anni Dopo pagine fondamentali dell’opera stessa.
Spero che il pubblico siciliano possa apprezzare questo modesto e umile tentativo di legame e continuità con l’opera del mio concittadino, cui sono legato da un amore profondo.