Teatro Garibaldi

L’edificio nacque nella seconda decade dell’Ottocento dall’unione di un magazzino e di una casa nobiliare, col nome di Real Teatro Ferdinandeo.

Nel 1817, due anni dopo l’inizio dei lavori, erano presenti due palchi e una platea molto piccola.

Tra il 1852 e il 1857, altri interventi conferiranno al Teatro un aspetto assai simile a quello di oggi: si ampliò la platea, con uno spazio riservato all’orchestra; si procedette alla costruzione di un terzo ordine di palchi e di un loggione. La facciata dell’edificio fu resa in stile neoclassico, con i due piani sormontati da una balaustra che presentava, al centro, un pannello scultoreo decorato con strumenti musicali. Sopra il pannello, sorretto da due figure maschili, un orologio con in cima un’aquila, simbolo della Contea di Modica.

Il Teatro fu riaperto nel 1857 con la messa in scena della “Traviata” di Giuseppe Verdi; compiuta l’Unità d’Italia, venne intitolato a Giuseppe Garibaldi.

Nel 1870, l’edificio diventò di proprietà comunale. Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, il Teatro non ospitò solo opere liriche e spettacoli di prosa, ma anche serate di beneficenza, concorsi canori e recite con protagonisti gli studenti delle scuole; negli anni Trenta, vi si svolsero i campionati provinciali di scherma per giovani fascisti. Nel 1943, il Teatro venne adattato a sala cinematografica.

Alla fine della seconda guerra mondiale, si necessitarono nuovi lavori di ristrutturazione: l’edificio era pericolante in più punti, pavimenti e decorazioni erano deteriorati e consunti. A lavori ultimati, il Teatro mostrava un palcoscenico ingrandito, un maggior numero di poltrone in platea ed una tribuna al posto del terzo ordine di palchi, oltre la quale si trovava la sala di proiezione.

Nel 1984, il Teatro venne chiuso. In molti, però, iniziarono a chiedere la modifica delle opere murarie ed un restauro in grado di recuperare parte delle decorazioni originali. L’ingegnere Giorgio Sarta, con gli architetti Enzo e Giorgio Rizza, elaborò un progetto che intendeva riportare l’edificio ai fasti del vicino passato. Il decoratore Giorgio Modica intervenne sull’apparato decorativo della platea e della sala d’ingresso, mentre il pittore Piero Guccione, assieme ad altri esponenti di “Il Gruppo di Scicli”, realizzò un grande dipinto ad olio sul soffitto a volta: la scalinata del Duomo di San Giorgio, uno dei luoghi più importanti della città, fortemente scorciata dal basso e animata da personaggi appartenenti al mondo dell’arte e della lirica. Dopo ulteriori lavori di restauro e di messa in sicurezza, il Teatro è stato definitivamente riaperto al pubblico nel 2000.

Mariolina Marino, “Duecento anni di teatro a Modica”


Nel 1999 è affidato a Piero Guccione (sono suoi l’ideazione e i bozzetti) l’incarico di realizzare il tondo della volta della sala, con la collaborazione di Franco Sarnari, Giuseppe Colombo e Piero Roccasalva. Lo spazio scenico è occupato per tre quarti dalla scalinata in ombra, mentre è illuminata per intero la facciata, cui fanno da quinte laterali il Palazzo Polara e il Palazzo Di Lorenzo (Tomasi Rosso), in un montaggio immaginario: nella scalinata sono moltiplicati i gradini. In primo piano il Don Giovanni di Mozart, mentre scende le scale, un’immagine recuperata dal monumento a Pietro Di Lorenzo Busacca, opera di Benedetto Civiletti(1892), posto nella piazza Busacca, una figura definita, cui si fa assumere il volto del più giovane degli artisti, Giuseppe Colombo, per il quale Guccione pensa all’uso del nero. Commenterà: “Don Giovanni, nonostante tutto, è una figura funerea, un narciso certamente non uno spirito apollineo; con la mano indica i fiori dell’ibiscus, fiori di contro che indicano sensualità…fiori voluttuosi, e sensuali”. Affianco, al centro il Macbeth di Verdi (un’idea di Roccasalva), un d‘après tratto dalla Scuola di Atene di Raffaello, e precisamente dall’Eraclito-Michelangelo. Sarà Roccasalva a dipingerlo. Dalla proposta di Roccasalva per il Macbeth nasce l’intuizione di Guccione di attingere a Raffaello, alla Scuola di Atene con l’inserimento dell’allegoria del Messia di Hendel, un’immagine che sale lungo la scalinata in un movimento ascensionale che conduce verso la chiesa e che diventa l’asse principale della composizione, un personaggio vestito di giallo, colore allusivo alla solarità. Norma recuperata da Bellini sulla destra acquista consistenza e plasticità, come se fosse in un suo spazio, con la luce lunare che la colpisce: la sua ombra infatti e data dalla luna e non dal sole che viene da occidente. L’abbraccio del Bacio di Hayez sempre sulla destra più in alto. L’abbraccio diventa ambiguo, con l’uomo in ombra, in un atteggiamento aggressivo. Sulla sinistra a metà della scalinata Rinaldo e Armida, un d’après da Tiepolo: i due personaggi sono resi con colori variegati e luminosi, con una citazione di Sarnari nella mela posta ai loro piedi. Due figuranti che si dirigono verso la chiesa al centro nella parte alta della scalinata. Figura enigmatica, priva di definizione, è il personaggio allusivo a Mosè di Rossini, quasi un santo vescovo immobile sul palcoscenico nella parte mediana sinistra della scalinata. Tra i personaggi, lungo la scalinata, saranno dipinti due gatti e due uccelli. Nei due spazi laterali i nudi michelangioleschi del Tondo Doni, dipinti sia come piacere della citazione, sia perché nell’assieme quei due spazi sarebbero rimasti. La scelta è di queste presenze umane michelangiolesche, dipinte come larve, allo stato di abbozzo. L’ultimo intervento sarà di Franco Sarnari che inserirà una colomba in volo, collocata tra l’ombra e la luce della scalinata, una sorta di Annunciazione.

Paolo Nifosì

Testo tratto e rivisitato da Kalós Arte in Sicilia, anno 13, n. 3, luglio-settembre 2001 e da Paolo Nifosì Un cantiere rinascimentale annoda Modica all’Europa, sta in Serata d’apertura, Teatro Garibaldi.